Questo racconto è apparso originariamente su Bennington Review numero 3, estate 2017
Quando ci ordinò di estirpare una delle due palme, chiedemmo quale delle due, e lei, senza perdersi in esitazioni, rispose quella che vi pare. La voce, seppur tremolante, comunicava l’autorità di una regina. Ci fissava dall’alto della sua veranda, un’effigie della Vergine di Guadalupe alla sua sinistra e, alla sua destra, delle fioriere pensili di gerani rosa (Pelagorium x hortorum). Ci disorientava quel suo modo di apparire: la voce risoluta e il mento sollevato dimostravano sicurezza, le spalle curve e le braccia conserte, invece, trasmettevano tutt’altro messaggio, del tipo Non mi sento a mio agio qui con voi.
Con voi, cioè con noi, quattro uomini che erano arrivati fin sul suo vialetto di casa a bordo di un furgone con su scritto Famiglia Cavazos Progettazione Giardini – Se habla Español. Eppure, era stata lei a contattarci. Un vicino le aveva passato il nostro bigliettino da visita. Al telefono ci aveva chiesto se sradicavamo alberi, se era una cosa che avevamo mai fatto, e quanto le avremmo chiesto per un lavoro del genere. Sì lo facevamo, rispondemmo. Per lo più frassini americano (Fraxinus americana), ma ci era capitato anche qualche lauro della California (Sophora Secundiflora). Le dicemmo che per riuscire a farle un preventivo avremmo dovuto valutare l’albero di persona: non fu un problema, e così ci aspettò il giorno successivo. Siccome lei per prima non aveva toccato l’argomento, evitammo di chiederle se avesse un marito – ci trovavamo su quella sponda del fiume da tempo sufficiente per sapere che alle donne americane non piaceva quel tipo di domande. Ora però le avevamo visto la fede nuziale sulla mano tozza, perché non smetteva di toccarsela. Se la rigirava intorno al dito, facendo baluginare improvvisi riflessi di luce senz’altro più brillante dell’oro spento. C’era un bel sole quel giorno. Come sempre, da quelle parti.
Scese dal portico e prese a camminare; noi subito la seguimmo in fila indiana come tanti piccoli anatroccoli. «Eccole qui» disse, come se da soli non riuscissimo a vederle: due palme di dieci metri nel bel mezzo del giardino, con i maestosi fusti rivestiti di un’ispida corteccia bruna che si sbriciolava al tocco. Le foglie, constatammo strizzando gli occhi nel bagliore del mattino, erano di un bel verde smeraldo e luccicanti come lucertole al sole. Ay no, pensammo. No, no. La corteccia e quel verde ramarro erano indizi inequivocabili: non si trattava di Sabal mexicana, piante diffuse da quelle parti della Valley. Erano Washingtonia robusta. Se ne stavano lì, a frusciare impercettibilmente, l’una lo specchio della delicata forma dell’altra, così vicine da sembrare due virgolette.
Dovreste sradicarne una e portarla via, ci disse.
Cuál? tornammo a chiedere.
È indifferente. Tese un braccio per indicare entrambe le Washingtonia robusta, ma lo allargò così tanto da comprendere in quel suo gesto anche la porta turchese dell’ingresso, i gerani, La Virgen. È indifferente, non mi interessa, l’importante è che una delle due me la togliete da qui.
Le piante gemelle si adombrarono. Provammo a esprimerci nel nostro miglior inglese. Dovete portarla da qualche parte?
È per mio marito, disse, nel suo miglior spagnolo maccheronico. Ci penserà poi lui.
Si trasferisce?
Sì.
Molto lontano?
Non lo so. Sollevò le mani nel dirlo. E continuarono a salire, quelle mani, finché non raggiunsero le guance e poi gli occhi, coprendole il viso intero. Iniziò a piangere e noi distogliemmo educatamente lo sguardo, soffermandoci a osservare il prato di gramigna rossa (Cynodon dactylon) e l’acqua ristagnante del laghetto di fronte casa sua, infestato dall’idrilla (Hydrilla verticillata) e dai giacinti d’acqua (Eichhornia crassipes). Proprio come quelle erbe, la signora si avvolse nelle sue stesse braccia, chiusa in una matassa di dolore che noi, quattro padri di famiglia, quattro uomini felicemente sposati, avremmo voluto strappare via. E invece ci limitammo a contare mentalmente tutta l’Hydrilla verticillata nello stagno.
Mentre lei piangeva, cercammo le parole migliori per spiegarle che non ci era mai capitato di dover sradicare un albero così grande. Con tutta probabilità, non saremmo stati in grado di trapiantarlo perché le Washingtonia robusta provengono da un ecosistema subtropicale, mite e temperato. In qualche modo avevano finito per adattarsi lì, nel Texas meridionale, ma quella non era casa loro. Se solo fossero state Sabal mexicana il problema non si sarebbe posto, capisce? Quelle sono palme tozze e resistenti, e molto più basse. Hanno tronchi color cenere, protetti da una corteccia fibrosa i cui filamenti si intrecciano come vene, non come squame; il verde del fogliame ha un che di sporco, tanto che alcuni lo giudicano impuro, solo perché stringato con fibrosi filamenti bianchi per sopravvivere. La Sabal mexicana, Señorita/Señora, si trova da queste parti dagli inizi del Novecento, e anche se la trapiantassimo prospererebbe ovunque, qui nella Valley. Queste latitudini ormai sono casa sua. Tutto sarebbe andato diversamente, a quest’ora.
Ma non sapevamo proprio come spiegarle tutto questo. Ci limitammo a cantilenare in coro Spiacente, spiacente, spiacente.
Passammo davanti a quella casa solo un’altra volta, settimane dopo, diretti a un altro lavoro. Un cartello In vendita era stato inchiodato al Cynodon Dactylon. La statua della Virgen, la porta turchese e tutti i vasi colorati erano ancora lì, ma le Washingtonia robusta non c’erano più. Con grande stupore vedemmo che le aveva fatte radere al suolo, segandole via entrambe, e al loro posto adesso restavano solo dei monconi che ci arrivavano sì e no alle ginocchia. Dal furgone, passando, ne scorgemmo le radici. Sembravano due mani aperte che si aggrappavano alla terra.
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Kimberly Garza si è laureata in lingua e letteratura spagnola e inglese, oltre che in scrittura creativa alla University of Texas, Austin. I suoi racconti sono usciti su Bayou, Cutbank, Huizache, Puerto del Sol e TriQuarterly. È nata nel Texas sud-occidentale e vive a Denton, dove sta completando il dottorato alla University of North Texas nel programma di scrittura creativa e lavora come editor per le interviste della American Literary Review.
Titolo originale, Uprooting, copyright @ Kimberly Garza, all rights reserved
Traduzione di Mario Alberto Galasso