Questo articolo è apparso originariamente su Hobart il 18 settembre 2018
Molto tempo dopo la morte che consacrò la sua fama, pagai Grace per tagliarmi i capelli.
Grace ha poteri psichici, e quasi tutti a Gorham sanno che è vero. Quando la grande promessa del basket della scuola morì di cancro, la madre, Eileen, andò da Grace a farsi fare il colore ai capelli prima del funerale. Grace disse a Eileen che l’aveva visto. Eileen chiese se avesse detto qualcosa. Grace rispose di sì sì e glielo riferì.
La sua morte era stata rapida, era mancato a una sola partita durante il campionato, il suo nome venne annunciato durante la cerimonia del diploma e in tempo record venne affissa una targa sulle pareti della scuola. Ma era stata Grace a dire le parole giuste a Eileen e questo era servito.
Volevo che i riccioli neri mi arrivassero appena sotto le orecchie. Lei disse che ero coraggiosa. Fin qui, chiarii. Mi sorrise. Con gesti rapidi mi tagliò la coda e mi mostrò i riccioli spessi allo specchio. Li teneva chiusi tra pollice e indice, un piccolo serpente dalle estremità laccate che strangolava una cosa che, poco prima, era parte di me. Mi chiese cosa provavo. Dissi che mi sentivo molto più leggera.
Prese un appunto sul suo registro. Avevo la borsa piena di monete da un quarto di dollaro, che non mancavano mai alla lavanderia automatica in cui lavoravo. Radunai il totale nel palmo. Senza guardarmi, Grace disse che aveva visto il mio futuro, che sarei diventata madre prima di compiere vent’anni. Disse che poteva andarmi peggio.
Se il destino aveva qualcosa in serbo per me, sapevo che sarebbe stato un bambino. E anche se desideravo altro, speravo almeno che fosse una femmina. Speravo fosse Harriet, oppure Opal, o Astrid, oppure Brett, come mio padre.
Era normale il modo in cui Grace lo vedeva, il modo in cui poteva richiamare il tempo. La normalità veniva dal basso, era un falegname, una segretaria – qualcosa che non si era mai allontanato da casa. Che non ci aveva mai nemmeno pensato.
Quando compii vent’anni non ebbi nessun bambino. Invece, venni a sapere di Megan. Una donna che si era impiccata a vent’anni, quando io ne avevo appena compiuti cinque. Una cugina che aveva ciò che ho io.
Megan è una sensazione ingombrante che provo, da sempre. C’è una foto di noi due – io do le spalle al fotografo, con la mia testa piena di riccioli neri, e la abbraccio. Lei sorride così tanto che ha gli occhi chiusi, e mi abbraccia a sua volta.
A scuola, il mio professore di educazione civica aveva deciso che, per comprendere meglio i processi alle streghe di Salem, avremmo dovuto mettere in scena il rogo di Giovanna d’Arco. Il nostro era un mondo che costruiva il proprio significato. Il professore sapeva che poco prima avevo preso parte a una recita scolastica, il che faceva di me la miglior candidata a interpretare la parte di Giovanna. Ricreò le fiamme con il proiettore, mi fece salire su una sedia e disse alla classe di urlarmi contro. Secondo lui non mi ero calata abbastanza nella parte. Mi disse che Giovanna era stata legata a un palo. Che aveva provato dolore. Io, invece, non sentivo nulla.
Iniziai ad amarla, la mia Giovanna d’Arco, e quando sentivo le voci, desideravo che fossero angeli importanti, come lo erano i suoi. Ora, gli angeli mi attaccano su ogni fronte; una guerra, non meglio specificata. E penso a Megan che ci era caduta in mezzo, accendendo da sola il fiammifero per dar fuoco a una pira che nessuno sapeva giustificare.
Ogni momento che ho vissuto mi è sempre parso o l’una o l’altra cosa: un vecchio cavallo morente che andava soppresso, possibilmente per mano di un amorevole proprietario, oppure una mucca molto incinta nel bel mezzo del parto, con il vitello – non si sa se vivo o morto – ancora fuori per metà.
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Mary Alice Stewart è originaria del Maine e si sta specializzando al Bennington College. I suoi scritti sono apparsi su Washington Square Review e nell’antologia The Dead Animal Handbook a cura di Cam Awkward-Rich e Sam Sax.
Titolo originale Halfway Out, @ Mary Alice Stewart, all rights reserved
Traduzione di Federica Principi