Questo pezzo è apparso originariamente su Brick numero 101, estate 2018
1.
Me lo disse Aritha quando tornai a casa per l’estate.
Accesi il franchincenso (mio fratello pensava fosse per liberarmi della puzza di fumo in casa) e mandai un dessert alla Jamatkhana. Erano riti maldestri; i luoghi di culto li visito e basta, come una turista.
No, io e te non chiacchierammo mai, Kroetsch. In un auditorium a Calgary, ti copristi il viso con una mano (le tue erano piccole); una volta a una festa, mi passasti un piattino. Mi si bloccavano le parole in gola. Non ero un’immigrata cenciosa. A una gentilezza concessa, replicai un grazie distaccato.
Ora sono invecchiata, e porta saggezza, il decomporsi. Non come un pesce in putrefazione, ma l’affilarsi, il transitare, come la stagione estiva. Il mio amico di Muscat, dove lavoro adesso, chiama la neve «bianca-neve». Non lo correggo. Bianca-neve è una sofferenza dolce, sono le mie praterie, il mio tenero bottone, nel remoto Oman del mare di Sinbad.
Quella sera, piattino in mano, ero piena di arroganza da striminzita laurea triennale: se tu eri il principe delle praterie, io ero l’aristocratica indisciplinata. Le praterie di cui scrivo oggi sono la frangetta che incornicia il tuo viso pieno.
Scrivere a te, stavolta, mi sembra giusto. Sei anni ormai.
Mi trovo di nuovo a Calgary per un’altra vacanza estiva, ed è la tipica giornata dal cielo rosa come pesche. Otto nettarine maturano sul tavolo da cucina, tempo perfetto per un giro in campagna. Ed è quel che facciamo io e Aritha: andiamo al mercato ortofrutticolo di Millarville. Lì c’è una chiesa da cowboy, piccolina e nascosta nell’erba, come una preghiera di donna. Assilla gli dèi per avere un giorno libero, Kroetsch. Vomita loro contro poesie ubriache, come faceste tu e Purdy in quel lussuoso hotel di Edmonton. Ho sentito dire che la cameriera vi fece sloggiare entrambi a suon di calci. Non gli dèi. Da loro solo un bel calcio per mandar gli integralisti all’impasse. C’è qualche attentatore di aerei in paradiso? Perché gli dèi sono fifoni?
Lassù, di che senti la mancanza? Cose ridicole come le mollette da bucato? In una delle tue poesie scrivi che l’amore è uno scavare. Quel tasso che scavò nell’appezzamento di patate di tua mamma, e poi si rizzò in piedi, come stesse seguendo la strada paterna. Tuo papà non riuscì a sparare all’insolente piccoletto, ricordi?
Poi chiedi: Ma come si coltiva un innamorato?
C’è un modo, Kroetsch. Vieni nel mio patio, ho birrette gelate e la mia torta alle pesche da YouTube.
2.
Il forasacco… fiorisce nell’incuria totale, parole tue, Kroetsch. È vero, strappi le erbacce qua e là, ma l’intruso dalla pelle dura continua a sgomitare fra le altre piante. Nessuna riforma sanitaria alla Tommy Douglas, contro il forasacco. Al contrario, prospera in acque stagnanti o nel caldo torrido come un mercante nelle colonie. Le altre piante in autunno appassiscono, ma non il forasacco, che ancora si pavoneggia nel suo cappotto verde: sempre pronto per un selfie, che gradasso!
Il tarassaco – quei soffioni gialli che sfrecciano fuori dal finestrino – nonostante il nome «dente di leone», è diverso. Uno scienziato olandese ha scoperto che potrebbe sostituire la gomma. Difficile abituarsi all’idea. Non facciamo un plissé se una divinità elefante cavalca un topo; d’altro canto la sfera onnipotente è eccentrica, ma il tarassaco invece dell’Omino Michelin… Che ne pensi, Kroetsch?
Che altro posso dirti? La nonna è contenta che i suoi figli comprino auto extra accessoriate (parole sue). Come se a Calgary ci fosse ancora lo smercio di pellicce. Giorni tra praterie dai cieli rosa come pesche e nomi infelici a darci il benvenuto: i monti Three Sisters. (Che avranno fatto di male?) Il distretto Dead Man’s Flats…
L’estate è un promemoria. Un inno di coscienza dello scorrere del tempo. Una confezione di fazzoletti di nome Figlio. Sua mamma gli avrà pulito il viso, nascosto alla vista gli esplosivi? L’estate colpisce alla giugulare, Kroetsch. Tu sei morto d’estate.
Nell’Audi di mio fratello oltrepassiamo paludi, rossi granai e bellezze bovine che brucano tra l’erba curata e i cereali. Nel sedile posteriore, la nonna e la zia sparlano di quella gente che Trudeau senior ha fatto entrare negli anni Settanta dalla Tanzania. Molti della città di Dodoma, da dove vengono la nonna e la zia, si stabilirono a Calgary e ora stanno morendo come mosche. Le aggredisco, «In una così bella giornata, è questo che vi riempie lo stomaco?». Mio fratello, diplomatico appiana-litigi, rivela di aspettarsi sempre che un’ape spunti fuori da una luffa, e la tensione in macchina si alleggerisce. Siamo tutti pronti per un gelato in quel posto a Cochrane.
Kroetsch, ti è mai importato niente del gelato?
*
Titolo originale, Kroetsch, Summers Are Wake-Up Hymns, copyright @Yasmin Ladha, all rights reserved.
Traduzione di Sara Tuveri.