Questo pezzo è apparso originariamente su ZYZZYVA n.115, primavera/estate 2019
che dorme su una parure di lenzuola cifrate, che ha
un minivan con dei salatini incastrati giù vicino
al cambio. Che si modifica il nome o la targa; che si parcheggia
in riva a un Finger Lake, lascia che questo lenisca la sete
di oceano e dei suoi ritmi. Non una che abbandona
all’ottavo inning, che lascia un libro a metà,
perché i finali non li sopporta. Giuravo che non ci sarebbero stati
baffetti scuri indesiderati da strappare,
soldi da restituire né topi da scacciare dalla cavità
del nostro albicocco. Non intendevo perdere le stanze
che mi si espandevano nel petto. O sentire il blaterare di mio papà tutto il giorno —
come un bambino a cui si chiede di tener fermi i tamburi —
e biascicare qualcosa di meschino. Sempre riguardo
al perdere la tranquillità o al bisogno di alzarmi per coprire
le sue mani ancora una volta. Giuravo che non avrei mai
ballato da sola, bevuto alcol liscio o avuto così bisogno di essere toccata
da acconsentire, e acconsentire a bordo di un camion. Che avrei amato
un uomo sposato, ma sarei tornata a casa. Piuttosto stendimi
a pugni prima che mi addormenti tra lenzuola fiorate, in una luce
che odora di body e ore di chimica alle superiori.
Riesco a vedere le molecole legate tra loro, le cariche sul foglio
del raccoglitore — il legame è sempre storia, e quello che giuravo
mi torna indietro umile come una hoosier pie: burro
al naturale, amido di mais, panna. Ero ordinaria; tutto ciò che sono
non era il mio piano quand’ero la ragazza che ora ho deluso,
preferirei abbandonare — un corpo rinnova
le sue cellule completamente, ogni sette anni. Come in un telefono
senza fili, si temeva distorta
nel passaggio, pezzo per sostituibile pezzo. Ho abbandonato
la ragazza piegata in ginocchio, con la nausea e a vomitare pezzi
di torta alla crema in strada. Non le ho tirato indietro
i capelli zuppi d’uovo, non ho visto che era straziata,
senza figli, non mi importava di toccare il seppiato che perseguitava ogni
suo giorno. Nonostante l’inclinazione del mirto crespo sempre più
verso la radiosità — giunchiglia, oro — avrei dovuto vederlo —
la seguiva, contro ogni previsione, ignorava le sue più minacciose
promesse. L’intenzione ha poco a che fare con questo. Lo splendore svolazza
sopra pelle nuova su misura: fatta la muta di spalle, avambracci, fronte.
Cammino adorna, sbalordita che la ragazza che non sapeva
i numeri di telefono a memoria né aveva il coraggio di fare
un rimprovero abbia rinnegato il suo futuro, così si è assicurata che ci finissi
dentro.
*
Titolo originale, I swore I would never be the sort of woman, copyright @ Cate Lycurgus, all rights reserved.
Traduzione di Nadia Cazzaniga.
Immagine di Martino Pietropoli.