IN CUI SI PARLA DI: coniglietti, accuse iniziali, domande pressanti, controcultura, testa di caprone, la più importante festività del satanismo, sottigliezze trascurate, i reportage di Geraldo Rivera, Tangerine Dreams, la Casa Nera, organi Wurlitzer, nomi inquietanti, l’Eunuco Nazareno

Anton Lavey mise a nudo lo show business della religione fondando la Chiesa di Satana. Mezzo secolo più tardi il suo sacerdote supremo organizza ricevimenti pomeridiani a base di tè nella periferia dello Stato di New York.

Questo pezzo è comparso originariamente su The Believer, autunno 2015

Forse lo facevano nell’ora del pisolino, in quella della merenda o subito dopo il loro arrivo, ma quello che è certo è che i due maestri, la professoressa McMartin e il professor Buckey, conducevano i loro alunni nel sottosuolo tramite una botola nascosta in classe e lì, nel labirinto di pareti gelide, li mettevano davanti a un gran numero di raffigurazioni di Satana, con la sua faccia rossa e le enormi corna (anche un bambino l’avrebbe riconosciuto). Lì, sottoterra, i bambini – tutti tra i due e i cinque anni – venivano toccati nelle parti intime e costretti a posare per fotografie sconce. E forse quei tunnel formavano un’ampia rete sotterranea, perché in qualche modo, alla luce del sole e senza mai un solo testimone, quegli stessi insegnanti riuscivano anche a portare le loro classi in una vicina chiesa episcopale, dove gli adulti indossavano abiti neri e maschere, e sacrificavano coniglietti, uccelli e perfino qualche tartaruga, raccogliendone il sangue in coppe eleganti. Coppe che porgevano ai bambini, costringendoli a bere. E uccidevano neonati (probabilmente); e tiravano fuori i cadaveri dalle tombe (probabilmente); e gli insegnanti portavano i piccoli nel cimitero e, tra le lapidi, li toccavano tra le gambe. Una volta il professor Buckey prese un lungo coltello e macellò un pony vivo davanti a loro, dicendo che se avessero mai avessero fatto parola con qualcuno su ciò che accadeva lì, i genitori sarebbero morti nello stesso modo. E tutti pronunciavano il nome del Diavolo senza sosta, danzando.

Nel 1984 questi furono alcuni dei 208 capi d’accusa emessi contro gli insegnanti della McMartin Preschool di Manhattan Beach, California. Tutto ebbe inizio quando la madre di un bimbo di due anni affermò che il figlio era stato molestato dal maestro. Quelle accuse iniziali erano talmente assurde – non faceva cenno solo all’uccisione di neonati e alle libagioni a base di sangue, ma anche a costumi da clown – che la polizia le lasciò cadere quasi subito (la madre aveva accusato di abusi anche il padre assente di suo figlio, e alla fine le fu diagnosticata una forma di schizofrenia paranoide). Ma a quel punto il capo della polizia di Manhattan Beach decise di spedire una lettera «confidenziale» ai genitori di duecento attuali ed ex studenti della McMartin, in cui delineava le accuse sporte e consigliava di chiedere ai bambini se anche loro fossero stati molestati. Tutti negarono e le autorità raccomandarono ai genitori di portarli al Children’s Institute International, un centro di Los Angeles per la prevenzione degli abusi su minori: lì, con l’ausilio di marionette e bambole anatomicamente realistiche, furono interrogati in modo pressante e ben presto lo scenario che si delineò fu quello di costanti abusi sessuali.

Dei cento bambini interrogati, una quarantina alla fine ammise tutto. Di questi quaranta soltanto nove furono considerati testimoni sufficientemente attendibili per un processo. Nel corso di sette anni tutte le accuse di satanismo furono fatte cadere e gli accusatori si restrinsero a undici in tutto, gli imputati a due. Vennero assolti entrambi – dopo un processo durato sette anni e costato quindici milioni di dollari, uno dei più costosi della storia americana. Tuttavia, molto tempo prima di quella sentenza shock, il caso della McMartin aveva messo in moto qualcosa. Nei mesi successivi alle prime accuse formali agli insegnanti, in altri sette asili della contea di Los Angeles erano spuntate le medesime accuse di satanismo e abusi su minori, e presto si era diffuso il panico in tutto il Paese. Nel decennio che seguì la polizia dovette indagare su oltre dodicimila casi di abusi di quel genere – che andavano dal sesso di gruppo ai sacrifici di neonati, passando per il cannibalismo – e non furono mai trovate prove soddisfacenti. Nessuna traccia di sangue e sacrifici, umani o animali, e gli esami medici condotti sulle piccole vittime vennero screditati. Non c’erano prove.

Negli anni Settanta, i movimenti femminili e la controcultura avevano dato vita a ogni genere di ipotesi circa la vita e la sessualità delle famiglie americane, e ne era emerso una sorta di incubo collettivo: l’idea che nell’ombra si annidasse un’invisibile rete di satanisti che avvelenavano l’America con la loro depravazione e torturavano i bambini. Quel periodo degli anni Ottanta e primi Novanta divenne noto come «Panico satanico». Per quanto possa sembrare incredibile oggigiorno, nel periodo del Panico vennero formulate migliaia di accuse di satanismo e abusi su minori, così tante che le autorità dovettero coniare il termine «Abuso rituale satanico», o ARS. Furono centinaia i maestri di asilo e i genitori accusati di questi crimini e in tribunale gli avvocati dell’accusa si basavano esclusivamente sui racconti delle vittime, senza alcuna ricerca di prove materiali. A livello nazionale i rappresentanti della legge, gli avvocati e i maestri d’asilo si ritrovavano in apposite conferenze per imparare da cosiddetti esperti come gestire la piaga dell’ARS. Uno dei principali maestri della McMartin testimoniò dinanzi a un comitato del Congresso nel 1984, accennando ad ARS in cui venivano sacrificati animali davanti agli occhi dei bambini. Sarebbe stata tutta una strana commedia dell’assurdo, se le accuse non fossero state tanto orribili – e se alcuni degli imputati non fossero stati condannati a decenni di prigione.

Nel periodo del Panico un gruppo in particolare veniva sempre tirato in ballo quando si trattava di cercare prove dell’esistenza dei seguaci del Diavolo: la Chiesa di Satana.

Prodotto dell’appariscente San Francisco della controcultura, quella della fine degli anni Sessanta, la Chiesa di Satana era, ed è tuttora, la più vasta organizzazione satanista del mondo (ha addirittura registrato come marchio la testa di caprone). Il fondatore Anton LaVey, un ex giostraio, andava in giro travestito da Diavolo – con tanto di mantello rosso, testa rasata e cosparsa di vaselina, e corna finte – tenendo conferenze sull’occulto e sul bizzarro, oltre a corsi su come manipolare le folle. Organizzava perfino cupe feste «rituali» nella sua «Casa Nera», nel Richmond District (una dimora vittoriana ovviamente dipinta di nero). La sua impresa era finalizzata ad attirare l’attenzione del prossimo, ma sotto la superficie si celava una vera crociata contro la religione organizzata. Contrariamente a quanto si riteneva all’epoca, LaVey e i suoi satanisti non credevano nel Diavolo, in Satana o in entità paranormali di qualunque tipo («L’uomo ha sempre creato i propri dei» scriveva LaVey). E soprattutto erano, e restano, individui cinici e pragmatici, atei e ultraliberali. La Bibbia satanica, il testo principale della loro Chiesa (finora oltre un milione di copie vendute), non è altro che una critica della religione istituzionalizzata, e alla luce di certe violenze che continuano a perpetrarsi in nome di Dio (o Allah o Chi per Lui), in America o altrove, alcuni passaggi sono carichi di buonsenso. Per LaVey la religione è carica di odio e falsi sensi di colpa, e nega la natura fondamentale dell’uomo. L’uomo è un animale egoista, scrive, e non c’è motivo di andarsene in giro a scusarsi per questo. «Così come i satanisti non pregano Dio perché li aiuti, così egli non prega perché lo si perdoni dei suoi misfatti… Confessarsi con un altro essere umano non serve a molto, ed è ancora più degradante». Ogni satanista, come amano sottolineare, è il dio di se stesso. In accordo con l’egotismo rampante dell’uomo, la più importante festività del Satanismo cade per il compleanno di ogni membro.

LaVey divenne noto come «papa nero», e a ragion veduta: la sua Chiesa, da un punto di vista cristiano, è blasfema e sfrutta il format della messa cattolica per creare il proprio, personalissimo teatro gotico. Anche se la sostanza del rituale religioso è un controsenso reazionario volto a indurre il senso di colpa, come ritengono i satanisti, lo stesso rituale può servire a tirare fuori alcune verità fondamentali sull’uomo. Quindi i satanisti sfruttano la messa per far scorrere il sangue (anche se, a quanto ne so, finora non l’hanno mai fatto in senso letterale). «Ave, Satana!» cantano. Satana, Male e inferno sono parole chiave che incoraggiano i membri ad abbracciare una vita libera, di opposizione ed egocentrica, discosta dalla tradizione. «Quando diciamo “Ave Satana”» spiega Peter Gilmore, l’attuale alto sacerdote della Chiesa «ciò che vogliamo dire in realtà e “Ave Noi Stessi”».

Queste sottigliezze, tuttavia, non furono colte dai media durante il Panico, quando l’associazione con il Maligno era considerata un oltraggio. Per tutti gli anni Ottanta i principali programmi e giornali alimentarono quella paranoia, da 20/20 della ABC alla NBC News, passando per The Oprah Winfrey Show. Ciò che compariva in quei programmi andava dal ridicolo – il corrispondente di 20/20, Tom Jarriel, affermò che in Stairway to Heaven Robert Plant cantava in realtà «My Sweet Satan», dolce Satana – al non verificabile. Ciò che quei media e programmi avevano in comune era la logica insostenibile che quelle reti «sataniche» fossero impossibili da smascherare, cosa che non faceva altro che dimostrarne l’astuzia. Come annunciò lo stesso Jarriel: «In tutto il Paese la polizia si trova di fronte a simili storie dell’orrore, e nessuna di queste è mai stata dimostrata!». Senza prove, dunque, di che si parlava in quei programmi, esattamente?

La NBC concesse uno spazio in prima serata allo speciale di Geraldo Rivera, «Devil Worship: Exposing Satan’s Underground». In due ore Geraldo fece tutto un fascio della Chiesa di Satana, dei fan dell’heavy metal e di una manciata di serial killer, dipingendoli come una «rete segreta altamente organizzata» e assetata di sangue che venerava il Diavolo, formata da «oltre un milione» di seguaci. Mostrò immagini di LaVey e della sua Bibbia satanica, mentre la figlia di LaVey, Zeena, protestava affermando che la Chiesa di Satana era una «religione legittima» e il dottor Michael Aquino, fondatore del Tempio di Set, una «branca» dei satanisti, tentava di spiegare invano che loro non credevano nell’Anticristo della Cristianità (Geraldo continuò a chiamarli comunque «veneratori del Diavolo»). Il teatro dell’assurdo della Chiesa di Satana, e il suo grido di protesta contro il senso di colpa e il peccato originale, era sotto processo, come se indossare abiti troppo neri e troppo velluto e collezionare spade antiche fossero crimini. Sin dai primi patetici circhi di LaVey, fino alle provocazioni rituali di quella Chiesa (pentagrammi invertiti, corna del Diavolo ecc.), gli strumenti «maligni» dei satanisti e il loro credo erano sempre stati finalizzati a risvegliare le masse e farle allontanare dalla religione istituzionale, ma adesso quel gioco si era trasformato in realtà – solo possedere una copia del libro di LaVey, o disegnare un pentacolo sul diario, bastava a renderti colpevole di associazione.

E questi furono i presupposti di uno dei più recenti e noti casi tra quelli scoppiati nel periodo del Panico Satanico: quello dei Tre di West Memphis. Nel 1993 tre bambini di otto anni furono assassinati nelle Robin Hood Hills a West Memphis, Arkansas. Furono ritrovati nudi, legati e annegati e, dettaglio orribile, uno dei tre era stato privato del pene. Tre adolescenti locali furono arrestati e le sentenze – ergastolo per Jessie Misskelley Jr. e Jason Baldwin, e morte per Damien Echols – si basarono in gran parte su una confessione strappata con la forza a Misskelley e sul fatto che i tre ragazzi fossero considerati soggetti emarginati e disadattati. Echols in particolare era il bersaglio perfetto in una cittadina conservatrice come West Memphis: ascoltava i Metallica (in tribunale gli fu chiesto se avere un poster di Master of Puppets lo rendeva un satanista), portava un ciondolo a forma di pentacolo comprato al centro commerciale, e teneva sul comodino il teschio di un animale che aveva trovato per terra (gli chiesero se anche quello avesse dei significati satanici). Era soltanto l’ennesimo adolescente che fantasticava sull’occulto. Il caso si risolse, nel 2011, con il rilascio dei ragazzi, ma tutti e tre trascorsero in galera più di diciotto anni.

Ho incontrato Satana per la prima volta quando avevo circa otto anni, in un film in videocassetta che poi ho rivisto altre mille volte a casa della mia amica Becky. Per mesi, ogni anno da quel giorno, lo immaginai come compariva in quel film: una creatura mezza uomo e mezza bestia, di colore rosso scuro, troppo alta per essere umana, che dava le spalle a un fuoco ruggente, le porte dell’inferno. Zoccoli e gambe pelose, petto ampio e una gigantesca testa cornuta. Le corna, di un nero scurissimo, erano tre volte quelle del più minaccioso dei tori. Le dita erano venate e dotate di grossi artigli neri. Aveva l’aspetto di una bestia, ma si comportava come un aristocratico. Ballava con una ragazza – una donna, in realtà, ma abbastanza giovane da essere la mia baby-sitter – avvolta in un elaborato abito nero. E anche se era una brava ragazza il Signore dell’Oscurità la concupiva senza problemi, trasformandola nell’ombra di se stessa.

Il film in questione era Legend, un tremendo fantasy del 1985 diretto da Ridley Scott, con la colonna sonora di… Tangerine Dreams? Ma nel film una scena del genere in realtà non c’è, del diavolo e della ragazza che ballano davanti al fuoco: a otto anni avevo già cominciato a dare vita al maligno nella mia immaginazione.

Non c’è da stupirsi: i bambini abbondano di occasioni per assorbire il mito del Diavolo che impera nella nostra cultura. Le fiabe mi hanno fatto credere che qualche signore del male volesse riempirmi l’armadio di demoni, e l’educazione cattolica di mia madre mi ha insegnato che il buio ha un nome (Satana o Lucifero) e che può ingannarti, assumere la forma di un serpente e ipnotizzarti per farti fare ciò che non dovresti – qualcosa di impensabile per una bambina piccola quale ero io.
A distanza di molti anni mi sono resa conto di dover ancora giungere a una conclusione personale sull’argomento. Così ho deciso di fare quello che, da adulta, avevo la possibilità di fare: mi sono avvicinata alla Chiesa di Satana.

Con mia sorpresa ho scoperto che aveva lasciato San Francisco da quasi vent’anni. L’alto sacerdote Peter Gilmore (il secondo a occupare quella carica in quasi cinquant’anni di storia) e sua moglie, l’alta sacerdotessa Peggy Nadramia, avevano spostato la sede della Chiesa a Hell’s Kitchen, New York, e poi nella loro casa dei sogni a Poughkeepsie. La cittadina universitaria è diventata il centro del Satanismo mondiale. Gilmore e io ci siamo scambiati qualche lettera e, dopo alcune settimane, in un giorno di primavera, mi ha invitata per «un tè» nella nuova Casa Nera.

Nel tragitto in treno dalla Penn Station supero una serie di case in stile coloniale e federale e, di tanto in tanto, vecchie stazioni piene di vagoni sgangherati. Approssimandosi a Poughkeepsie gli edifici diventano vittoriani. Fu lì che, nel 1788, Alexander Hamilton e compagnia ratificarono la Costituzione, e non siamo lontani dalle case vacanza degli Astor e dei Vanderbilt. È uno scenario molto diverso da quello che mi ero immaginata.

Scendo dal treno e dopo un attimo vedo accostare una Mustang nera nuova di zecca, da cui scende l’alto sacerdote, un Babbo Natale dark in tre pezzi nero con una barba sale e pepe definita con cura. Si presenta – «Piacere, Peter!» – stringendomi la mano con vigore. Ora posso dire che era uno degli uomini più allegri che abbia mai conosciuto. Mi apre la portiera e partiamo.

Durante il tragitto verso la Casa Nera, Peter mi parla con orgoglio di quella zona, mi dice di essere cresciuto insieme ai suoi due fratelli nell’Orange County. Il padre lavorava come toelettatore per cani e la madre era una casalinga con l’hobby della pittura e del ballo. Sebbene quest’ultima fosse cattolica e gli facesse frequentare il catechismo nella chiesa locale, il piccolo Peter trovava sia il cristianesimo che il giudaismo religioni «ossessionate dalla colpa» e «ripugnanti» – preferiva di gran lunga l’«eroismo» degli dei degli antichi greci. Era un bambino precoce e si dichiarò ateo già in tenera età. Da adolescente si definiva invece «artista emarginato», pittore neo-surrealista amatoriale e patito di teatro, per cui progettava e creava scenari ed effetti speciali nelle commedie scolastiche. La sua futura moglie, Peggy, era responsabile del giornale della scuola e dell’annuario, e insieme ai loro amici formavano un gruppo di fanatici dell’arte e della lettura che passavano il loro tempo ad ascoltare musica classica e a girare per musei, vestiti in modo eccentrico per distinguersi dagli altri. Peter scoprì il satanismo in maniera piuttosto tipica, se vogliamo. A tredici anni, dopo aver preso l’autobus per Manhattan intenzionato a visitare il Museo di Storia Naturale, si fermò in una libreria alla stazione di Port Authority, dove gli piaceva cercare libri di Isaac Asimov e Arthur C. Clarke. Quel giorno notò La Bibbia satanica su uno scaffale. La comprò, la lesse tutta d’un fiato, ed ebbe un’epifania. «Non ero soltanto ateo, ma un satanista». Ecco una religione, pensò, «razionale, ma teatrale», un movimento che si era scrollato di dosso la nozione di peccato e che si confaceva ai suoi gusti. Perciò si diplomò a pieni voti e decise di diventare un membro ufficiale della Chiesa di Satana.

Peter e Peggy possiedono una casa in stile famiglia Addams, il loro sogno da sempre, e con malcelato orgoglio Peter mi fa notare: «È stata costruita nel 1877, è sui registri». Svoltiamo un angolo e la Casa Nera compare in fondo alla strada: un classico edificio vittoriano con tanto di torretta, ma tutto dipinto di nero, con le finiture a strisce rosse, viola e rame. Per breve tempo è stata una pensione, poi rifugio sicuro per tossicodipendenti e ubriaconi (con tanto di laboratorio per le anfetamine in soggiorno). Oggi questo posto appare completamente rinnovato, una via di mezzo tra una casa storica e, come dice Peter, «una tipica dimora infestata dai fantasmi».

Lo seguo su per i gradini dell’ingresso con la sensazione di entrare in un circo gotico di periferia. Sopra la porta campeggia un pannello di vetro dipinto: il sigillo di Bafometto, tratto dal famoso logo della Chiesa: una testa di caprone in un pentacolo. Il numero civico è capovolto, a formare un forcone. Oltrepasso la soglia e vengo accolta dal mormorio di un gruppo di satanisti radunati per il tè pomeridiano. Ma prima che possa accertarmene, Peter mi fa fare il giro della casa.

Passiamo attraverso una stanza in cui sono esposte le opere di Peter: collage in bianco e nero di dei aztechi ritagliati da fotocopie, immagini di «nativi» prese da film di serie B, varie rappresentazioni dell’Apocalisse, gli onnipresenti angeli neri, Adolf Hitler. Nella «stanza dei media» le librerie nere sono cariche di DVD e appesi alle pareti ci sono riproduzioni delle maschere mortuarie di Bela Lugosi e Boris Karloff. Peter è un cinefilo convinto, autore di recensioni e articoli sulle pellicole più sconosciute del mondo: vecchi film di fantascienza, horror messicani con luchadores come protagonisti, i maestri dell’horror italiano Lucio Fulci e Mario Bava. In quella stanza ci sono anche le fotografie di famiglia: la famiglia allargata dei Gilmore, dalla madre di Peter – al posto d’onore sullo scaffale in alto – al fratello di Peggy, maresciallo della squadra cinofila dell’esercito americano. E poi la famiglia satanica, da LaVey (che Peter chiama «dottore») all’unico figlio di quest’ultimo, Xerxes, e Jake Appelbaum, l’hacker di WikiLeaks comparso su Rolling Stone come «L’uomo più pericoloso del cyberspazio». Appelbaum aveva dato alla Chiesa dei consigli su come mantenere la privacy su Internet – «cosa importante per un’organizzazione come la nostra».

A quel punto gli chiedo come facciano a tenere segreta l’identità dei loro membri. Peter mi spiega che le domande arrivano direttamente a lui: «Peggy e io siamo gli unici a conoscere l’identità di tutti… Abbiamo alcune celebrità che vogliono mantenere l’anonimato; hanno ancora diversi anni di carriera davanti e ne risentirebbero di certo, se si sapesse». È questa una delle principali contraddizioni della Chiesa di Satana: è ansiosa di attirare fedeli, con la sua teatralità e i suoi segreti, ma non può e non vuole parlarne – un fatto con cui i media andarono a nozze nel periodo del Panico, distorcendo l’influenza della Chiesa per giustificare la portata dei crimini a essa attribuiti. Gran parte dei membri resta anonima e la Chiesa non rivela mai quanti siano effettivamente. Peter scrive: «Come un iceberg, i nostri fedeli restano nascosti nelle torbide profondità» (la figlia di LaVey, in un’intervista del 1988, stimò che la Chiesa avesse solo qualche migliaia di membri, forse decine di migliaia, e se così fosse non sarebbero più di quanti ne abbia Scientology). Tutto questo gli fa gioco: senza volto il mostro sotto il letto fa di certo più paura.

Entriamo nella camera rituale, un tempo il salotto, le cui finestre sono coperte da drappi neri. È arredata secondo lo spirito della chiesa originaria di San Francisco: stesse dimensioni, stessa vernice rossa, stesso gigantesco dipinto del logo della Chiesa in bianco e nero. In un angolo si scorge un altro dipinto di Peter, Bafometto dalla testa di caprone, tutta rossa e congestionata, con una poderosa erezione, ali di pipistrello spiegate, seduto sul pianeta Terra. Vicino al caminetto ci sono un gong lucido e una splendida spada, mentre sulla mensola riconosco un teschio umano e due tibie (un regalo per il primo anniversario di nozze). Nelle vecchie immagini promozionali della Chiesa c’era sempre un teschio, da qualche parte, oltre al famigerato «altare vivente» – una ragazza dalla carnagione chiara, completamente nuda, carponi su una predella. La dotazione classica della Chiesa sin dai tempi di LaVey.

La storia personale di Anton Szandor LaVey, famigerato ed eccentrico fondatore della Chiesa di Satana, è materiale da leggenda. Cresciuto a San Francisco, lasciò il liceo e, dalla fine degli anni Quaranta fino ai Sessanta, pare che abbia lavorato in un circo come suonatore di calliope, come assistente del domatore di leoni Clyde Beatty e suonatore d’organo nei locali di burlesque di Los Angeles (dove asserisce di aver conosciuto e concupito una giovane Marilyn Monroe), fotografo di scene del crimine per la polizia di San Francisco e, anche pur essendo uno scettico dichiarato, «investigatore psichico», inventandosi spiegazioni stiracchiate per i fenomeni cui i suoi superstiziosi clienti erano convinti di aver assistito. I racconti ufficiali della Chiesa riferiscono che fu quello il periodo in cui LaVey si immerse maggiormente nel romanticismo vintage (il circo, il fascino della vecchia Hollywood) e nel cinismo più nero (gli strip club, le scene del crimine e le superstizioni da popolino).

Verso la metà degli anni Sessanta, tornato nella sua città natale, LaVey diventò un vero eccentrico, e si esibiva regolarmente nei locali suonando il suo organo Wurlitzer, organizzando feste decadenti e offrendo ogni venerdì lezioni serali sull’occulto e l’assurdo – dai lupi mannari alla criminologia, passando per la storia della tortura e le pozioni d’amore (qualsiasi cosa attirasse clienti, come dice Peter). Portava tutto il giorno un paio di occhiali scuri, affermando di essere fotofobico. I seguaci si radunavano in una casa vittoriana acquistata da LaVey in California Street, nella zona di Richmond tra Presidio e il Golden Gate Park; divenne quella la Casa Nera originaria, stipata di elementi gotici – dal corvo impagliato alle vecchie attrezzature mediche – e arredata con una tavolino-lapide e edizioni rare di Lovecraft. E, come ennesimo tocco di stile, gli ospiti spesso si ritrovavano davanti Togare, il leone nubiano che LaVey teneva come animale domestico. Era una vera follia, perfino nella San Francisco di metà anni Sessanta.

Anche se non è chiaro quali parti del suo passato siano state elaborate ad arte per corroborare la sua leggenda, ciò che è certo è che la ricerca sull’occulto e la filosofia di LaVey erano «finalizzate a essere prese sul serio», dice Peter. «Quelle non le ha mai distorte». In seguito al crescente successo delle sue lezioni e conferenze, LaVey si rese conto di voler fondare un nuovo sistema di credenze, una religione vera e propria. Così, nel 1966, annunciò la nascita della Chiesa di Satana. L’anno 1966 segnò l’inizio di una nuova epoca del satanismo – «l’anno Uno, Anno Satanas». «Ave Satana!» diventò il grido di guerra (in un classico caso di «È nato prima l’uovo o la gallina?», lo stesso grido comparve quasi contemporaneamente nel romanzo cult di Ira Levin, Rosemary baby e, più tardi, nell’adattamento cinematografico di Planski. Peter insiste che la prima a usarlo sia stata la Chiesa. «La gente all’epoca non si azzardava neanche a dirlo».

Ciò nondimeno la risonanza che la Chiesa ebbe nella cultura pop fu frutto di una campagna per la visibilità organizzata «in famiglia». Fedele al suo passato nel circo, LaVey ideò un’esca per attirare i media in trappola: radunò tutte le fantasie e gli incubi legati all’immagine di Satana nella cultura popolare e li utilizzò come base su cui erigere una Chiesa, con se stesso nei panni del papa nero e Signore degli Anelli. Subito dopo la fondazione della Chiesa organizzò il primo evento pubblico, ossia un matrimonio «satanico» tra un giornalista e un’esponente dell’alta società newyorchese. A presiedere alla cerimonia c’era LaVey in persona, che si presentò con quello che sarebbe diventato il suo classico abbigliamento: una tunica e un mantello di seta neri con un cappuccio sormontato da due corna di diavolo bianche (a dirla tutta l’effetto generale era più quello di un costume di Halloween improvvisato). La camera rituale esibiva una donna nuda, avvolta strategicamente in una coperta leopardata, e il nuovo logo della Chiesa su una parete. La cerimonia fu raccontata sia sul San Francisco Chronicle che sul Los Angeles Times.

LaVey proseguì nella sua opera scrivendo missive in cui delineava i rituali e l’ideologia della Chiesa, pesantemente influenzato da Nietzsche, H. L. Mencken e Ayn Rand. Realizzò un video del battesimo rituale della figlia Zeena, tre anni, e organizzò una serie di laboratori concepiti per insegnare alle donne sataniste, o «streghe sataniche», a raggiungere i propri obiettivi personali manipolando gli uomini che occupavano posizioni di potere; e recitò con il suo costume rituale in uno dei film underground di Kenneth Anger, Invocation of My Demon Brother, con colonna sonora di Mick Jagger. Quello stesso anno, il 1969, finalmente LaVey diede alla luce La Bibbia satanica.

Tutti parlavano della Chiesa, da Newsweek a McCall’s, da Phil Donahue a Johnny Carson. A un certo punto LaVey dichiarò che erano entrati a far parte della Chiesa personaggi quali Sammy Davis Jr., Jayne Mansfield, Marilyn Manson, Marc Almond dei Soft Cell e vari membri delle forze dell’ordine. Sembra che la Mansfield, che posò per una fotografia insieme a LaVey, definisse il satanismo «Khalil Gibran con le palle». Quanto fosse effettivamente intima con LaVey è ancora oggetto di dibattito (l’introduzione alla Bibbia dice che era una delle sue «streghe più devote»), ma di certo era incuriosita sia dall’uomo sia dalla religione che professava, e la trovava molto utile per giustificare il suo look da vampiro. Le sue posizioni antireligiose erano de rigueur, a quei tempi, e molti si entusiasmavano trovandosi dinanzi il «Male» incarnato, ossia LaVey in «alta uniforme». «Tutte le religioni fanno parte dello “show business”,» scrisse in seguito Gilmore «ma la Chiesa di Satana è l’unica abbastanza onesta da ammetterlo».

Eppure è questo che mi colpisce di più: la discordanza tra la serietà di base della filosofia di LaVey e l’aspetto esteriore della Chiesa, i mantelli di seta, le teste di caprone e le corna di Diavolo. Perché un uomo che affermava di avere dalla sua parte gli atei e i liberali accettava di vivere in una casa piena di oggetti kitsch in stile famiglia Addams e si firmava trasformando la «y» del suo nome in una coda di Diavolo? Perché utilizzare la parola Satana, o ricorrere a espedienti così terra-terra, quando si vuole provocare una reazione in persone con cui non si ha niente in comune? Qual è il limite che separa scelte simili dalle sbruffonate dei liceali o dalla messa in scena di Halloween? Era questa la faccia della medaglia di cui LaVey non poteva fare a meno: era alla continua ricerca di attenzioni e amava vestirsi in quel modo, raccontare storie. Invece di prendere le distanze dalle fesserie sul potere del Diavolo, in cui lui per primo non credeva, al richiamo di Hollywood LaVey le abbracciò prontamente: diede addirittura il suo contributo alla promozione dell’anteprima del film di Polanski e si fece assumere come organista e «consigliere tecnico» per il film cult degli anni Settanta Il maligno, fornendo consigli per rendere più realistici i canti e i protocolli «satanici». Fu pagato per la consulenza su pratiche sataniche che lui stesso si era inventato pochi anni addietro, ma in cambio fu costretto ad associare la sua filosofia razionalista e anti-religiosa al culto del Diavolo fattosi carne.

All’inizio Peter apprezzava anche gli aspetti più pacchiani. Nei primi anni Ottanta, sposati da poco, lui e Peggy erano ormai diventati personaggi pubblici e membri attivi della Chiesa, e presto furono invitati a San Francisco da LaVey in persona. Attraversarono il paese per la prima volta, e Peter ricorda che si imbatterono in una tempesta di fulmini mentre stavano per atterrare. Dopo aver cenato con l’alto sacerdote, salirono sulla Jaguar di LaVey e andarono alla Casa Nera, dove Peter e il Dottore parlarono fino all’alba. Da quel momento in poi i Gilmore tornarono San Francisco una volta l’anno, entusiasti di essere stati accolti nel mondo di LaVey. I due uomini, tra i quali correvano quasi trent’anni, strinsero sempre più amicizia guardando i film della sterminata collezione di LaVey – aveva di tutto, dai polizieschi agli horror di serie B – oppure recandosi nei rettilari o al poligono. Trascorrevano il tempo nel seminterrato di LaVey, «la Tana delle Iniquità», dove il Maestro teneva le sue sculture umane a grandezza naturale, oppure in cucina, dove suonava i suoi sintetizzatori accompagnato dalla voce della giovane coppia. Per Peter l’alto sacerdote diventò parte della famiglia, una specie di «zio preferito». E il suo rapporto con LaVey lo introdusse in un gruppo di pensatori fuori dagli schemi, gente illuminata, che non si faceva imbrogliare facilmente e non aveva paura di definirsi satanista.

In quel periodo, tuttavia, scoppiò il Panico Satanico, che Peter ricorda come un «periodo stressante, di delirio». Aveva iniziato da poco a rappresentare pubblicamente la Chiesa, e spesso toccava a lui togliere strane idee dalla testa della gente comparendo in TV o parlando in radio. Ovviamente LaVey aveva sempre desiderato tanta attenzione, ma neanche lui avrebbe mai potuto immaginare che i satanisti si sarebbero ritrovati a vivere una vera e propria caccia alle streghe. Quando il Panico iniziò finalmente a recedere, nella metà degli anni Novanta, LaVey si era già ritirato a vita privata, diventando più un filosofo elusivo che l’artista radicale di un tempo.

Nel 2001, quattro anni dopo la morte del Dottore e con la prima Casa Nera rasa al suolo, il potere passò nelle mani di Peter, il quale era stanco dell’onere di cui lo gravava il nome di Satana. Voleva riportare la Chiesa alle antiche idee, enfatizzarne l’ateismo e la razionalità. Peter era più studioso, borghese e integrato del suo predecessore, non aveva la stessa voglia di dare spettacolo, e si impegnò affinché studiosi e storici comprendessero davvero cos’era la Chiesa di Satana. Nel 2007 pubblicò la propria risposta a La Bibbia satanica di LaVey, Le scritture sataniche, una raccolta di saggi che rafforzavano e aggiornavano i valori e la visione del mondo della Chiesa.

Nel suo libro Peter prova a prendere le distanze dal passato stravagante della Chiesa, deridendo apertamente tutti color che si atteggiavano a satanisti. «Ma che cos’ha in testa questa gente che decide di adottare nomi “inquietanti” come “Damien Anton Manson Dragon Azathoth XXIII”?» Perché non, suggerisce, «qualcosa di più semplice e d’impatto, di facile da ricordare, come “John Wayne” o “Marilyn Monroe”, nomi veri, non da fan di conte Dracula?». Secondo Peter, LaVey riteneva che «le idee che avevano plasmato originariamente gli Stati Uniti fossero coerenti con i valori satanici» di intraprendenza e coraggio che conducevano l’individuo a una giusta realizzazione di sé – niente a che vedere con l’atmosfera cupa e da perdenti troppo spesso associata alla cultura dark formatasi intorno al satanismo. Tuttavia la parola Satana, scoprì presto, si muove con rapidità: si diffonde nelle sottoculture, viene utilizzata da chiunque abbia il gusto del macabro o sufficiente risentimento nei confronti della propria educazione cristiana.

I satanisti fanno ricorso ai rituali, non a scopo spirituale, ma come psicodramma: sono un modo per far salire l’adrenalina sfruttando i tabù (le cerimonie sataniche esistono in quella che LaVey definiva «la grande zona grigia tra religione e psichiatria»). Dietro a questi rituali si celano i motivi più svariati: il desiderio di conquistare una persona o una cosa, o di gettare una maledizione su qualcuno. Inoltre, nel corso della sua storia, la Chiesa ne ha eseguiti anche a beneficio della stampa. Dopo la teatralità degli anni Sessanta, con l’arrivo del Panico, le cerimonie diventarono sempre più rare e i membri della Chiesa venivano incoraggiati a non invitare nessuno nella propria camera rituale, neppure altri fedeli, per evitare il rischio di essere denunciati a qualche conservatore – che fosse il capoufficio o un membro della famiglia. Ma nove anni fa, in occasione del quarantesimo anniversario della Chiesa, i suoi membri decisero di celebrare e registrare una messa satanica il 6 giugno 2006. Il 6/6/06.

Sono andata a guardarmi il video.

La cerimonia si è tenuta in Hollywood Boulevard, dentro un teatro del Los Angeles’ Center for Inquiry. Vi prese parte un centinaio di satanisti, cosa che ne fece una delle più grandi cerimonie della storia della Chiesa. Il palco era stato addobbato con i classici elementi alla LaVey: altare coperto da un drappo nero, teschio umano, candele nere, incensiere, bionda tutta curve carponi sulla predella, sigillo di Bafometto, musica funebre. Un uomo in tunica ecclesiastica nera con tanto di collarino dà inizio al rito: «Nel nome di Satana, sovrano della Terra, re del mondo, comando alle forze dell’oscurità di conferire a noi i loro poteri infernali, questa notte. Si spalanchino le porte dell’inferno, sorgete dall’abisso!» Pronuncia poi alcuni dei molti nomi di Satana, con la folla che li ripete uno dopo l’altro:

Bast!
Samael!
Bafometto!
Typhon!
Naamah!
Mefistofele!
Ecate!
Tunrida!

Una schiera di sacerdoti e sacerdotesse in veste nera, alcuni dall’accento spiccatamente britannico, si fa avanti e proclama «Lucifero, concedici il tuo favore!», «Sia per sempre gioia alla carne!» e così via. È tutto un ruotare di spade in aria, colpi di gong e calici sollevati, conditi da un’infinità di «Ave Satana!». Ricomincio a seguire davvero quando un uomo incappucciato annuncia:

All’annientamento di tutti i fanatici, schiavi dei miti spirituali! Vili ipocriti! Sono il cancro dell’umanità, flagello delle civiltà! Contro di loro proclamo la mia fatwa. Questi cani rognosi saranno distrutti!

In questo documento si scoprono molte più cose sulla Chiesa di Satana di quante i suoi membri fossero disposti a rivelare. Considerate le tante «celebrità» che apparentemente si erano legate alla Chiesa, è difficile non fare caso alla scarsa qualità del video, che sembra girato da qualche ragazzino neanche troppo in gamba. Se questo era ciò che di meglio aveva da offrire, allora la Chiesa non disponeva né delle risorse né del livello di notorietà che millantava. Nell’attuale periodo storico poi, avere una vita privata un po’ particolare e circondarsi di bizzarrie macabre non è neanche lontanamente scandaloso come lo era ai vecchi tempi. L’impressione è che la Chiesa di Satana, tanto amata e temuta dai media del 1969, abbia imboccato il viale del tramonto.

La sala da pranzo della Casa Nera di Poughkeepsie è stata allestita per ospitare una sorta di «sacro tè», con tanto di dolcetti fatti in casa e servizio buono, il tutto illuminato da un candelabro a soffitto decorato con gocce di vetro rosso vermiglio. Una dozzina di satanisti vaga per le stanze con una delicata tazza di porcellana in mano, e tutti sembrano contenti di rivedersi e di incontrare me.

Io mi confondo tra la folla. Non so cosa augurarmi. Nella stanza dei media parlo con una coppia sposata, sulla trentina, di Staten Island: «Zoth», un ex musicista con i capelli lunghi e l’aria da metallaro che ora lavora nel campo della computer grafica, e «Marilyn Mansfield», una pin-up formosa. Sono originari del Queens ed entrambi hanno frequentato scuole cattoliche («nel Queens sei cattolico» mi dice Marilyn). È una goth-rockabilly con un davanzale generoso e ha posato per Old Nick, una rivista per ragazze. Marilyn ha qualcosa in comune con LaVey: possiede circa cinquecento bambole che considera alla stregua di gran parte delle persone che incontra. «A volte» mi spiega «preferisco le bambole alle persone vere». Zoth, pur essendo un metallaro incazzato, ama parlare dei suoi figli: come genitori hanno scelto un approccio sincero con i bambini, che considerano in accordo con le teorie sataniche di LaVey – niente menzogne alla Babbo Natale. «Sono un po’ più maturi» dice Zoth «perché sentono i compagni di classe parlare di Babbo Natale e loro stanno zitti, perché conoscono la verità».

Poi c’è Joe, un medico che si definisce un «gentiluomo satanista». È italo-americano, quindi di cultura cattolica, con i capelli scuri e mossi, e un pizzetto ben curato. Fa il gioielliere e una volta produsse un anello per LaVey in persona, un tirapugni per William Burroughs (che di fronte a quel regalo lo invitò al poligono con lui) e un altro anello per Vincent Price, che definisce la sua «prima e più grande fonte d’ispirazione».

Mi addentro in cucina, dove altri satanisti stanno amabilmente chiacchierando fra loro. «Una volta ho visto Elvira seduta a un tavolo insieme al cast di What’s Happening» dice uno. Nel frattempo c’è Peter che condivide le sue conoscenze sul wrestling professionistico, dal momento che la ex WWF spesso organizzava i suoi spettacoli qui a Poughkeepsie. Parla di Balls Mahoney, che si presentava sul ring con il simbolo della Chiesa di Satana sul mantello di seta nera. Peter scuote la testa e commenta che nel wrestling un tempo c’erano cattivi migliori.

Noto un uomo in classici abiti neri da satanista e mi pare di ritrovarmelo davanti in ogni stanza in cui entro. Si chiama Carl, è uno storico del cinema e, per avere trentaquattro anni, ha un viso molto giovane. Ha i capelli neri tagliati con cura e un atteggiamento misurato. Cresciuto in una famiglia cattolica (sorpresa!), per qualche tempo si è definito ateo, ma una parte di lui provava nostalgia per i riti e gli aspetti estetici della Chiesa cattolica. Quando ha letto La Bibbia satanica, trovata in una libreria di Washington Square Park, il satanismo è diventato il ponte fra i suoi due mondi. «I satanisti sono essenzialmente atei più melodrammatici» dice. «E questo mi piace molto».

Carl utilizza più di una volta la parola stupida in riferimento alla religione organizzata, così come gran parte degli ospiti una volta superata la fase dei convenevoli. Sento anche parole come idiota e stronzata, più di frequente di quanto non mi sia mai capitato in una sola serata. Fanno riferimento al cristianesimo, alle nozioni di «angelo», «paradiso» e «colpa». Questa ai loro occhi è roba da perdenti, da illusi che non hanno ancora imparato a pensare con la propria testa. Da seguaci. I satanisti non sono tolleranti nei confronti delle altre religioni, si oppongono con veemenza ai sistemi di fede basati sul concetto di «Dio»,di «peccato» e del «Te lo diciamo noi cosa devi fare». Tuttavia ho la sensazione che l’offesa più grande che queste persone possano arrecarti sia un insulto o due durante la conversazione – non ce li vedo a sollevare folle di adolescenti, a spingerle alla rivolta e all’omicidio. Semmai, come scrive Peter, è il devoto cristiano a essere pericoloso e macabro. «Per lui» scrive «la vita non è preziosa, dal momento che secondo la sua fede il vero risveglio avverrà dopo la morte. Brama la morte per completare se stesso».

La Chiesa di Satana, una religione in cui ognuno è il proprio dio, è priva degli aspetti per cui in molti abbracciano il cristianesimo, ovvero regole secondo cui vivere, scolpite sulla pietra. Il satanismo non concede questo lusso. Jeff e Kimberly l’hanno imparato a loro spese. Provengono dai sobborghi del New Jersey, sono entrambi sulla quarantina abbondante ed entrambi sono stati ministri di culto della Chiesa Metodista Unita (si sono conosciuti in seminario). «In tanti entrano in seminario e ne escono agnostici o atei» dice Jeff. «Perché cosa credi che succeda quando inizi a dare un’occhiata più da vicino?» È alto e tiene la schiena dritta, porta un completo nero e occhiali con la montatura di metallo. Sembrerebbe un predicatore, o un proprietario terriero, se non fosse per il pizzetto squadrato e il sigillo di Bafometto che porta appeso al collo.

Jeff dice di non trascorrere molto tempo in mezzo alla gente – insolito per un ex ministro di culto, ma comune tra i satanisti con cui parlo – mentre Kimberly, che porta un vestito nero, si definisce «espansiva». È la carnagione chiara e i capelli biondissimi tagliati corti, uno stile poco convenzionale per la loro cittadina del New Jersey, dove «si conoscono tutti». Parla con grande compassione delle persone che andavano da lei quando faceva la cappellana. «C’erano tante donne che avevano subito abusi o stavano con uomini violenti, e la religione diceva che era quello il loro compito, sopportare le sofferenze, essere brave mogli, così sarebbero state ricompensate in paradiso». La loro fede nascondeva il desiderio di un mondo migliore, che tuttavia non esisteva. Per lei era solo un’illusione.

I due hanno un figlio di quindici anni. Lasciavano libri sul satanismo «in bella vista» e gli parlavano con franchezza dell’argomento, prima però di scoprire che il ragazzo aveva dei problemi mentali. «Ha avuto un crollo psicologico» dice Kimberly «e probabilmente soffre di schizofrenia paranoide». Quella diagnosi ha segnato la fine del loro dialogo sul satanismo. «Parlargli di diventare la sua sola autorità, il suo unico punto di riferimento nel mondo, non è più possibile. Gli faremmo solo del male».

Nell’ultima parte del video di quaranta minuti sulla messa satanica in Hollywood Boulevard, fa la sua comparsa il Maestro Peter Gilmore, emergendo come il mago di Oz da dietro un sipario. Le luci si abbassano e si accende un riflettore. A differenza degli altri porta una tunica di seta rosso fiammante, tiene le mani giunte ma nascoste nelle ampie maniche. Sul petto ha ricamato un pentacolo dorato con un fulmine al centro. Ha un’espressione divertita, come se fosse tutto uno scherzo.

Al suono del gong posa le mani sull’altare. «In quanto dei di noi stessi, sta a noi muoverci con grazia e sicurezza nello zoo umano della nostra civiltà in crisi».

Spalanca le braccia come a voler accogliere la folla, e prosegue: il messaggio, coerente con tutto il resto, comunica l’importanza di contare solo su se stessi, anche se è ammantato di un sapore gotico da show televisivo. La macchina del fumo lavora incessantemente mentre la folla ripete dopo Peter:

Ave, Satana, onnipotente!
A te va la nostra fedeltà!
Siano maledetti
gli adoratori di dio,
e maledetti coloro che venerano
l’eunuco Nazareno!

Non ho mai sentito qualcuno riferirsi a Gesù chiamandolo «l’eunuco Nazareno». La blasfemia prosegue e Peter esorta la folla a recitare con lui, passo dopo passo, una versione satanista del Padre Nostro:

Padre nostro, che sei negli inferi,
sia maledetto il tuo nome
Venga il tuo regno,
sia fatta la tua volontà
come negli inferi così in terra
Stanotte compiamo
il nostro cammino
senza discostarci
dalla via del dolore
Inducici in tentazione
Liberaci dalla falsa pietà
perché tuo è il regno
di potere e gloria eterni.
Ave, Satana!

Suona il gong.

«Sorgete e mostrate il segno delle corna». E in perfetta sincronia, come a un concerto metal, tutti si alzano facendo le corna con le dita.

Le luci si abbassano ancora e Peter scompare nel buio. Alla fine della cerimonia tutti applaudono ed esultano. Hanno assistito a uno spettacolo.

Ripenso alle scene cinematografiche con cui ho conosciuto il mio personalissimo Satana, terribile, rosso e gigantesco, un nobile malvagio che balla davanti al fuoco. Le fantasie che evocava avevano poco a che fare con la crudeltà (non mi è mai venuta voglia di far male a qualcuno o di sacrificare animali), quanto più col potere: era una creatura fuori della portata di tutti, esisteva dall’altro lato dello specchio, al di sopra dei tabù che avevo imparato nelle favole o ascoltando qualche conversazione tra persone molto più grandi di me. Il Diavolo della mia infanzia mi avrebbe resa potente e speciale, e scommetto che anche molti bambini della McMartin fantasticavano di cose simili: conoscevamo già il volto del Male, con le sue tante maschere e i suoi costumi. Era il primo che avevamo imparato a conoscere.

*

Alex Mar vive a New York. I suoi scritti sono apparsi su Oxford American, Elle, The New York Times Book ReviewEpic, The Virginia Quarterly ReviewTin House, and The Best American Nonrequired Reading 2015. È autrice del libro Witches of America e regista del documentario American Mystic.

Titolo originale: Satan in Poughkeepsie, @ Alex Mar